(Rough) Translator

31 maggio 2009

Le Dimensioni Contano (Seconda Puntata)... Spinosaurus e Tyrannosaurus sono "confrontabili"?

So che amate questo genere di discussioni:

“Il mio Theropode è più Grosso del tuo!”

“Forse... ma il mio è più lungo!”

“Non è vero! L’hai ricostruito tutto stirato per farlo sembrare più lungo!”

“Bugia! Beh, allora il mio è più forte del tuo!”

“Falsissimissimo! Il mio pesa 138 kilogrammi e 7 ettogrammi più del tuo!”


Sono spassosissime, perché, spesso, chi partecipa a queste discussioni crede fermamente in quello che scrive, o, perlomeno, mostra un’enfasi tale da parere fermamente convinto nelle sue argomentazioni. Ammetto che in passato mi sono fatto prendere anche io da queste discussioni, anche se non in modo così esaltato. La “dimensione” pare ossessionarci, sopratutto per animali molto frammentari, per i quali intuiamo una scala di grandezza, ma non siamo in grado di stabilirla con quella precisione che vorremmo per poter argomentare delle ricostruzioni decenti. Discorsi sulla massa e le dimensioni adulte interessano trasversalmente ricercatori ed appassionati, perché hanno implicazioni significative su altri aspetti della paleobiologia.

Tuttavia, forse, tendiamo a farci prendere la mano dall’ossessione di ricostruire tutto a tutti i costi, noncuranti dei dati a nostra disposizione. In fondo, l’ignoto affascina anche perché permette un margine d’azione alla fantasia.

In questo post mi limiterò solo a mostrare alcune comparazioni dirette (quindi, si presume, più oggettive di tante altre fatte circolare) tra l’esemplare più completo di Spinosaurus (Stromer, 1915) e quello più completo di Tyrannosaurus (Brochu, 2003).

La mia domanda è: ha senso confrontare le dimensioni di questi animali? Ovvero, è possibile stabilire delle effettive differenze di taglia, che siano significative su qualche aspetto delle loro biologie?

Per fare ciò, ho confrontato i due animali per quattro parametri misurabili dai resti noti e confrontabili nei due animali: la lunghezza del dentale, la massima ampiezza del dentale, la lunghezza di un centro vertebrale dorsale e l’altezza della stessa vertebra ottenuta escludendo la spina neurale (che in Spinosaurus è evidentemente super-apomorfica e non può essere usata come parametro di dimensioni).

Alcune precisazioni:

Non è detto che i due esemplari in questione siano rappresentativi della “media” della loro specie. In particolare, è probabile che l’olotipo di Spinosaurus fosse ad un grado di maturazione differente rispetto all’esemplare di Tyrannosaurus confrontato (che è un adulto pienamente maturo): ciò è deducibile dalla non completa ossificazione delle vertebre dorsali (infatti ho usato l’unica pienamente ossificata a livello della sutura centro-arco). Ciò è confermato indirettamente dall’esemplare di Spinosaurus esposto a Milano, il quale, se confrontato con i resti omologhi dell’olotipo, risulta circa 20% più grande (Maganuco, com. pers.).

Le vertebre dorsali di Spinosaurus sono leggermente più lunghe di quelle di Tyrannosaurus, ma sono significativamente più basse nelle dimensioni di centro e arco neurale. Il dentale dell’olotipo di Spinosaurus è più corto di quello di Tyrannosaurus, ma probabilmente di lunghezza comparabile se stimato sull’esemplare di Milano. In ogni caso, il dentale di Spinosaurus risulta meno spesso in ampiezza di quello di Tyrannosaurus.

Noterete che non ho voluto estrapolare le dimensioni delle vertebre dell'esemplare milanese: questo perché non abbiamo alcun dato per stimare quanto una variazione del 20% nelle ossa craniche tra gli esemplari di Spinosaurus sia traducibile in differenza dimensionale nelle loro vertebre (la solita cara vecchia allometria!).

In conclusione, io non trovo alcuna differenza significativa nelle dimensioni generali dei due theropodi: Spinosaurus parrebbe più slanciato ed allungato, sia nelle proporzioni delle vertebre che del dentale, ma ciò non credo che dia indicazioni dirette della massa dei due animali.

Quindi, secondo me, discutere su chi sia più “grande” (qualsiasi cosa si intenda, oltre alla massa, che non è minimamente stimabile per Spinosaurus) è privo di fondamento: l’unica certezza, che conoscevamo prima ancora di fare delle stime, è che sono entrambi theropodi giganti.

Punto.


Bibliografia:

Brochu C.R., 2003. Osteology of Tyrannosaurus rex: insights from a nearly complete skeleton and high-resolution computed tomographic analysis of the skull. Mem. Soc. Vert. Paleontol. 7, 1–138.

Stromer E. 1915. Ergebnisse der Forschungsreisen Prof. E. Stromers in den Wu¨stenA¨ gyptens. II. Wirbeltier-Reste der Baharije-Stufe (unterstes Cenoman). 3. Das Original des Theropoden Spinosaurus aegyptiacus nov. gen., nov. spec. Abhandlungen der Ko¨niglich Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Mathematisch-physikalische Classe, 28(3) Abhandlung:1–32.

30 maggio 2009

Dinosauri giocosi, senza scomodare i mammiferi.

A tutti quelli che “sentono”* che i dinosauri sono animali speciali ed interessanti, ma, al tempo stesso, sono cresciuti nell’idea che i rettili siano organismi limitati e poco interessanti, quindi cattivi paragoni per i dinosauri, suggerisco di leggere l’ultimo post di Darren Naish. Per l’ennesima volta, viene mostrato uno dei concetti che guidano il blog Theropoda: i dinosauri non hanno bisogno di forzate analogie mammaliane per essere capiti ed apprezzati. I rettili attuali sono molto più complessi e interessanti di quanto si è soliti pensare, e la loro biologia ed etologia, insieme a quella degli uccelli, è sufficiente per comprendere molti aspetti dei dinosauri.

Non conoscevo i fenomeni che Darren ha descritto in quel post, e ne sono rimasto piacevolmente colpito. Alla luce di ciò, almeno uno dei due miei disegni che avevo mostrato qui (per la precisione, il secondo) ha acquisito un minimo di fondamento scientifico, almeno per chi, come me, non ha paura (o ingiustificato ribrezzo... o forse timorosa ignoranza) ad applicare l’inferenza filogenetica per ricostruire caratteristiche che non possono fossilizzare.

*Anch’io sento che i dinosauri sono esseri interessanti e speciali, ma non per questo penso che ciò ci imponga di farne dei “mammiferi squamati”. Come ho detto altre volte, io non penso che sia saggio cercare automaticamente degli esempi nei mammiferi, ogni qual volta ci imbattiamo in qualche aspetto dei dinosauri che non ha lasciato tracce fossili dirette (ad esempio, il comportamento).

Penso che tale atteggiamento di “sciovinismo mammaliano” sia sbagliato per due motivi:

1- Ciò si basa sul pregiudizio (indimostrato) che nei rettili e negli uccelli non ci siano esempi utili a descrivere i dinosauri. Tale pregiudizio porta spesso a non indagare a fondo la biologia ed etologia dei rettili moderni, conservando molti aspetti della loro biologia nell’ignoranza, con l’effetto di alimentare ulteriormente questo pregiudizio negativo nei loro confronti.

2- Questo atteggiamento interpretativo è contraddittorio, dato che nessuno dei “fan del mammifero” si sognerebbe mai di applicare la loro regola interpretativa alla rovescio e non cercherebbe mai negli uccelli e nei rettili degli esempi idonei per capire i mammiferi fossili! Perché? Evidentemente, ciò denota un pregiudizio “razzista” verso i non-mammiferi, che vengono considerati a priori dei pessimi paragoni per animali “evoluti”, come i mammiferi e gli stessi dinosauri (sebbene essi siano, fino a prova contraria, proprio dei rettili parenti stretti degli uccelli!). Pensate se un primatologo decidesse di usare i pappagalli per capire le scimmie sudamericane (in fondo, sono entrambi animali fruttivori, arboricoli tropicali, che hanno alluci opponibili, comunicazione e cervello sviluppati e cure parentali estese...): come mai, però, a dispetto di così tanta somiglianza ecologica, nessuno usa i pappagalli per capire le scimmie, ma spesso fa il contrario? Proprio per sciovinismo mammaliano, lo stesso tipo di pregiudizio che spinge molti, in modo automatico e acritico, ad usare solo i mammiferi per capire i dinosauri!

29 maggio 2009

Celurosauri con la Macchina del Tempo, Coccodrilli senza denti e gli Ornithomimo-mimi (avete letto bene)




La convergenza evolutiva (la somiglianza tra specie non dovuta a parentela diretta) è una delle più evidenti manifestazioni dell’evoluzionismo darwiniano. Se, come ritiene la teoria darwiniana, l’ambiente è l’agente selettivo primario della morfologia animale, è chiaro che organismi sottoposti ad analoghe condizioni ambientali evolveranno morfologie simili, indipendentemente che essi siano imparentati o meno. Questa è la concezione teorica, riassunta all’osso. Gli “amanti delle convergenze-sempre-e-comunque” affermano che la filogenesi è poco importante, perché è sempre possibile che un’apparente somiglianza sia solo il prodotto della convergenza, e che quest’ultima, proprio in virtù della sua potenza plasmatrice, sia in grado di sovrastare la parentela nel costruire un organismo. Non occorre questo post per sottolineare che chi fa queste affermazioni è molto ingenuo. Si fa presto a riempirsi la bocca con delle argomentazioni da naturalista di serie B, il difficile è dimostrare, nella pratica, cosa sia una convergenza e come si possa stabilirne l’origine. Qui si dimostra il limite delle critiche che ho appena citato. Infatti, nella realtà dei fatti, nell’azione scientifica, come si può determinare un’eventuale convergenza evolutiva? Come stabilire se due specie animali molto somiglianti sono tali per convergenza? Se i fanatici delle convergenze sono così bravi a lodare l’onnipresenza della convergenza, quale metodo oggettivo hanno per determinarne la presenza? Anch’io riconosco la grande abbondanza delle convergenze, ma non come “assioma” col quale interpretare meccanicamente i dati, bensì come constatazione derivata dall’osservazione. Infatti, se siamo tutti bravi a dire che le pinne di squali e delfini sono convergenti, non siamo tutti così bravi a stabilire moltissimi altri casi, sia attuali che fossili.

Paradossalmente, il migliore metodo scientifico per stabilire quando avvenga la convergenza evolutiva è proprio quello che i “fanatici” delle convergenze odiano più di ogni altra metodologia: è l’analisi filogenetica. Un’analisi filogenetica, infatti, valuta la distribuzione di tutti i caratteri, senza curarsi (all’inizio del processo) di quali siano convergenze e quali invece siano dovute a parentela diretta. Tuttavia, proprio perché parte ignorando quali tratti siano convergenti e quali no, l’analisi filogenetica riesce a determinare le convergenze: infatti, se una medesima combinazione di caratteri compare in punti distinti e lontani dell’albero ottenuto dall’analisi, l’unica interpretazione sensata che possiamo dare a questo fenomeno è che sia il risultato di processi separati di evoluzione convergente. Il metodo filogenetico, invece di discutere a vuoto su come e quando possa avvenire la convergenza, evitando di creare delle inutili tautologie aprioristiche come le “nicchie ecologiche”, fa l’esatto opposto dei suoi critici: valuta i dati, costruisce modelli, ed interpreta i risultati.

In conclusione, una convergenza evolutiva non può mai essere invocata a priori, ma è sempre una conseguenza a posteriori di un’indagine filogenetica. Qualsiasi altro metodo per stabilire le convergenze è destinato a fallire, perché assumerebbe a priori ciò che invece deve individuare a posteriori.

Tornando ai nostri cari fossili, oggi parlerò di una simpatica storia di sviste e di bizzarre convergenze evolutive.

Chatterjee (1993) descrive un cranio di arcosauro dal Triassico Superiore del Nordamerica. Sulla base di una serie numerosa di caratteri derivati, tra cui l’assenza di denti e la morfologia della regione posteriore del cranio, egli attribuì il fossile ad un nuovo theropode, Shuvosaurus, che collocò in Ornithomimosauria. Tale ipotesi suscitò subito un acceso dibattito, in quanto, fino ad allora, nessun Ornithomimosauro era stato rinvenuto in strati più antichi del Cretacico. L’esistenza di un ornithomimosauro triassico, infatti, implicherebbe che numerose altre linee di theropodi imparentati con essi, tra cui tutte le linee principali di Coelurosauria, dovrebbero essersi differenziate nel Triassico, ovvero, almeno 70 milioni di anni prima della loro più antica traccia fossile. Per rendere l’idea di tale paradosso, l’enigmatico Shuvosaurus sarebbe inatteso come scoprire un fossile di Smilodon (la nota tigre dai denti a sciabola) nella fauna di Hell Creek (con Tyrannosaurus e Triceratops)!

Immediatamente, sorsero alcune interpretazioni del fossile, volte a spiegarne l’esistenza alla luce della grandissima quantità di dati contrari ad una presenza di coelurosauri derivati nel Triassico. Le due interpretazioni più plausibili furono quella di Rauhut (1997, 2003) che interpretò Shuvosaurus come una nuova forma di coelophysidae privo di denti per convergenza con gli ornithomimidi; e quella di Long & Murry (1995) che proposero di considerare Shuvosaurus (un cranio privo di corpo) come la testa mancante di Chatterjeea, un arcosauro imparentato con i coccodrilli, scoperto nella stessa formazione di Shuvosaurus. In entrambi i casi, veniva eliminato il paradosso temporale, ammettendo un fenomeno di convergenza evolutiva molto spinta tra un rettile triassico ed uno cretacico in seguito ad adattamenti alimentari simili. Tuttavia, in assenza di nuovi dati, non era possibile risolvere l’enigma, e, sopratutto, determinare a quale gruppo attribuire Shuvosaurus: un theropode primitivo simile ad un ornithomimide, oppure un bizzarro parente dei coccodrilli simile ad un theropode sdentato?

Recentemente, la descrizione di un nuovo rettile dal Triassico Superiore del Nordamerica ha risolto l’enigma: Effigia (Nesbitt & Norell, 2006). Il cranio di Effigia è molto simile a quello di Shuvosaurus, a dimostrazione che i due animali sono parenti molto stretti. Tuttavia, a differenza di Shuvosaurus, Effigia è noto anche per quasi tutto il resto dello scheletro, il quale si è rivelato essere molto bizzarro. Effigia ha un curioso mix di caratteri da theropode (in particolare da ornithomimidae) al livello del cranio e del collo, e da crurotarso (il gruppo di arcosauri che comprende i coccodrilli) sopratutto nelle vertebre e negli arti, che ne fa una strana creatura bipede, senza denti, con arti anteriori ridotti ed ossa cave.

A quale gruppo di animali appartiene Effigia? Era un theropode primitivo, simile ad un coccodrillo, che stravolge le nostre idee sull’origine dei theropodi, oppure un bizzarro coccodrillo simile ad un theropode?

L’analisi filogenetica avvalora potentemente la seconda ipotesi: anche se presenta una serie molto affascinante di somiglianze con alcuni theropodi, Effigia conserva, nella maggioranza del suo scheletro, i tratti tipici dei crurotarsi triassici. La totalità dei caratteri considerati, non solo quelli a favore di una affinità con qualche gruppo particolare, va a favore di una parentela con i crurotarsi. Pertanto, Effigia è un crurotarso divenuto simile agli ornithomimosauri per convergenza. Ipotizzare che sia un bizzarro ornithomimide simile ad un coccodrillo implicherebbe invece un numero molto più elevato di processi di trasformazione evolutiva e di perdita secondaria di tratti tipici dei dinosauri, e creerebbe un enorme paradosso temporale (discusso all’inizio del post), difficilmente giustificabile con i dati attuali.

L’interpretazione più parsimoniosa, basata sull’analisi filogenetica, oltre a concordare con l’età del fossile, è a favore della convergenza evolutiva tra il crurotarso Effigia e gli ornithomimidi, probabilmente per adattamento a simili pressioni alimentari, e rende altamente improbabile una parentela diretta tra i due tipi di animali.

Questo episodio dimostra che non è vero, come pensano alcuni, che le analisi filogenetiche non tengano in considerazione le convergenze, o che i due approcci siano in contrasto: l’analisi filogenetica è invece il metodo principale per l’individuazione rigorosa delle convergenze. Ovviamente, una volta determinate in modo rigoroso, è compito di altre branche della zoologia (ecologia, e biologia dello sviluppo in particolare) stabilire come e perché siano comparse queste straordinarie somiglianze in animali non imparentati.

Bibliografia:

Chatterjee, S. 1993 Shuvosaurus, a new theropod. Natl Geogr. Res. Explor. 9, 274–285.

Long, R. A. & Murry, P. A. 1995 Late Triassic (Carnian and Norian) tetrapods from the Southwestern United States New Mexico. Mus. Nat. Hist. Sci. Bull. 4, 1–254.

Nesbitt, S.J., and M.A. Norell. 2006. Extreme convergence in the body plans of an early suchian (Archosauria) and ornithomimid dinosaurs (Theropoda). Proceedings of the Royal Society of London B 273: 1045–1048.

Rauhut, O. W. M. 1997 Zur schadelanatomie von Shuvosaurus inexpectatus. In Treffen der deutschsprachigen palaeoherpetologen (ed. S. Sachs, O.W. M. Rauhut & A.Weigert), pp. 17–21. Germany: Alfred-Wegener-Stiftung.

Rauhut, O. W. M. 2003 The interrelationships and evolution of basal theropod dinosaurs. Spec. Pap. Palaeontol. 69, 1–215.

28 maggio 2009

Miti e Leggende Post-moderne sui Theropodi Mesozoici - Quarta Parte: Il Pollice Opponibile ed il Cervello Sviluppato di Troodon

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Il decennio 1975-1985 rappresenta l’apice di una “corrente” dinosaurologica, capitanata da Bakker, che, per un effetto ritardato di diffusione nella cultura popolare, persiste ancora oggi tra gli appassionati meno aggiornati. Questa corrente interpretativa, oggi ridimensionata, si distingueva dalla precedente per l’enfasi (probabilmente eccessiva) rivolta alle analogie tra dinosauri e mammiferi. Sia chiaro, queste analogie esistono e non devono essere negate o sottostimate. Il problema, a mio avviso tipico del decennio 1975-85, è però l’eccessiva enfasi e sopravalutazione di queste analogie con i mammiferi. Scenari improbabili e privi di qualunque prova furono divulgati in quel periodo di rinata euforia dinosauriana: ad esempio, l’ipotesi (a mio avviso grottesca) che i ceratopsidi si difendessero serrandosi in cerchio (con tanto di giovani al centro dell’anello) in maniera vagamente analoga a certi bovidi attuali, oppure l’idea che i theropodi portassero nella “tana” le prede uccise per nutrire i loro giovani ancora incapaci di cacciare (nonostante l’osteologia di questi ultimi mostra i tipici tratti dei nati precoci e iper-precoci, capaci di muoversi e nutrirsi autonomamente già alla nascita, come i coccodillini e i pulcini di galline e struzzi). Un’altra ipotesi molto “mammalo-centrica”, divenuta abbastanza famosa, è quella che vedeva i troodontidi come una sorta di dinosauri “scimmie”, dotati di cervelli più sviluppati rispetto agli altri dinosauri e di pollice opponibile (Russell & Seguin, 1982).
La storia di questa ipotesi è molto interessante, perché dimostra quanto sia facile cadere in interpretazioni eto-ecologiche apparentemente ovvie, ma subdolamente scorrette, se si dimentica di fare riferimento al contesto filogenetico nel quale viene sviluppata tale ipotesi.
Il punto di forza di questa ipotesi è infatti una coppia di attributi presenti nei troodontidi: la presunta espansione dell’encefalo e la presunta opponibilità delle dita della mano. Questi tratti, se valutati senza le dovute cautele, possono dare l’impressione che i troodontidi siano dei dinosauri “speciali”, adattati a qualche “nicchia ecologica” nuova, forse analoga a quella di alcuni primati. Vediamo nel dettaglio queste presunte “prove”.
L’espansione del cervello (e delle orbite)
Piccola divagazione. Nell’immaginario collettivo, i dinosauri sono l’emblema della stupidità. Stegosaurus è la caricatura del cervello ridotto, quindi, della stupidità animale. In realtà, questa caricatura è generata da un effetto, detto “allometria”, che deriva dalla non omogenea crescita delle differenti parti del corpo in relazione alle dimensioni corporee. Nei vertebrati terrestri si osserva che le specie di taglia più piccola hanno alcune parti del corpo relativamente più ampie (se confrontate col resto del corpo) rispetto ai loro parenti di taglia maggiore. Il cervello, in particolare, cresce meno velocemente del corpo, e di conseguenza, risulta relativamente più piccolo nelle specie di mole maggiore. Dato che non ci sono prove che le capacità "intellettive" degli animali diminuiscano nelle specie più grandi (l'elefante non pare essere più stupido della procavia sua perente), la riduzione relativa del rapporto massa cervello / massa corporea, che si verifica sugli animali di grande mole, non costituisce una prova di "stupidità". In ogni caso, i calcoli effettuati tenendo presente questo effetto allometrico mostrano che i dinosauri non hanno cervelli particolarmente più piccoli rispetto agli altri rettili.
In ogni caso, è però evidente che alcuni dinosauri avevano cervelli effettivamente più sviluppati degli altri, indipendentemente dall’effetto di scala. Legato a quello del cervello, è evidente anche l’espanzione delle orbite oculari.
I troodontidi sono il gruppo più noto con queste caratteristiche. Infatti, le dimensioni relative e la forma del cervello (e degli occhi) dei troodontidi è paragonabile a quella dei grandi uccelli corridori, come struzzi e casuari. Tuttavia, questo carattere non è esclusivo dei troodontidi. Anche gli ornithomimidi, gli oviraptorosauri ed i dromaeosauridi hanno cervelli relativamente più ampi rispetto agli altri dinosauri, e tutti comparabili, come forma e dimensione, a quelli dei grandi uccelli attuali (vedere citazioni in Osmolska, 2004). In generale, dato che uccelli, dromaeosauridi, troodontidi, oviraptorosauri e ornithomimosauri formano il gruppo Maniraptoriformes, è plausibile affermare che l’espansione del cervello è una caratteristica generale di Maniraptoriformes, e non solamente di Troodontidae.
Quindi, non si può usare l’espansione del cervello per giustificare qualche peculiarità dei troodontidi, a meno che non si voglia attribuire tale peculiarità anche a tutti i Maniraptoriformi (e dubito che qualcuno vorrebbe seriamente collocare dromaeosauridi, oviraptorosauri, troodontidi e ornithomimidi tutti nella medesima nicchia ecologica!).
Il pollice opponibile
Un dito è detto opponibile se: A- può divaricarsi e riavvicinarsi rispetto agli altri; B- è orientato in modo da opporre il proprio palmo a quello del resto della mano. Questo mix di caratteri permette di afferrare oggetti (o di afferrarsi a rami) con una presa stabile.
Sebbene venga detto il contrario, la mano dei troodontidi noti non ha pollice opponibile: infatti, il suo primo dito non mostra il carattere B.
Ed il carattere A? La capacità di divaricare il primo dito della mano non è una caratteristica dei troodontidi, nel senso che essa è presente in tutti i saurischi! Tutti i saurischi (a parte alcune eccezioni che si sono specializzate) hanno l’articolazione tra metacarpo e falange del primo dito che permette la divaricazione del dito stesso (che può essere esteso medialmente). L'immagine sopra mostra bene l'angolo di divergenza in due saurischi (a destra) mentre tale angolo è praticamente nullo negli ornithischi (a sinistra). Tuttavia, il carattere A, da solo, non è condizione sufficiente per avere un pollice opponibile. Di fatto, nessun theropode ha il pollice opponibile.
L’unico caso documentato di dita della mano opponibili è quello di Bambiraptor, sebbene non avvenga a livello del primo dito, bensì del terzo. Senter (2006) ha determinato la mobilità delle dita della mano di Deinonychus e Bambiraptor, ed ha osservato che nel secondo theropode, ma non nel primo, il terzo dito della mano è effettivamente in grado di opporsi al resto della mano. Russell & Seguin (1982) avevano ipotizzato questo meccanismo per la mano di Troodon (chiamato nel loro studio con il nome ora non più valido di Stenonychosaurus), ma non avevano presentato valide prove a sostegno di ciò. L’opponibilità del terzo dito della mano permettava a Bambiraptor di afferrare piccoli oggetti con una sola mano, oppure (ipotesi che probabilmente è più plausibile, considerando il resto dell’anatomia di questo dromaeosauride, simile ai microraptori) di afferrarsi ai rami per arrampicarsi.
(Nota interessante: dato che le penne remiganti dei Maniraptora si attaccano sul secondo dito, come evidente in Caudipteryx, Microraptor e in tutti gli uccelli, e non sul terzo, e dato che quest’ultimo dito è, nei tetanuri, posto leggermente sotto il palmo del secondo dito, e non di lato, il terzo dito può conservare la mobilità necessaria per sviluppare una presa opponibile anche nel caso che la mano portasse lunghe penne, senza intralciarle minimamente!).

In conclusione, dato che il cervello sviluppato dei troodontidi è presente in tutti gli altri maniraptoriformi, e dato che il pollice opponibile come quello delle scimmie è assente nei troodontidi (e comunque, dato che l’estensione del primo dito caratterizza tutti i saurischi e non solo i troodontidi), l’ipotesi dei “troodontidi diversi dagli altri theropodi ed analoghi ai primati” risulta priva di giustificazioni, risultando completamente smentita dai fatti (...analogo destino per le bizzarre estrapolazioni antropomorfe di quella ipotesi...).

Bibliografia:
Osmolska H., 2004 -
--> Evidence on relation of brain to endocranial cavity in oviraptorid dinosaurs. Acta Palaeontologica Polonica 49: 321-324.
Russell D.A. & Seguin R., 1982 - Reconstruction of the small theropod Stenonychosaurus inequalis and a hypothetical dinosauroid. Syllogeus 37: 1-43.
Senter P., 2006 - Comparison of forelimb function between Deinonychus and Bambiraptor (Theropoda: Dromaeosauridae). Journal of Vertebrate Paleontology 26(4):897–906.

27 maggio 2009

Una nuova pista di 5 theropodi dimostra chiaramente che erano cacciatori in branco...

Sono sempre stato scettico verso le interpretazioni delle piste fossili di theropodi. Ritenevo che fosse molto debole qualsiasi modello di comportamento basato su piste di dinosauri. In particolare, non mi ha mai convinto l’ipotesi che vede le serie di due, tre, o anche più orme di theropodi, chiaramente allineate e parallele, come prova di un comportamento sociale, probabilmente di caccia sociale.

Mi devo ricredere. Oggi, finalmente, una prova schiacciante! Una pista di orme di 5 theropodi, che dimostra senza dubbio che essi erano un gruppo di efficienti predatori, tutti assieme coalizzati nella cattura della loro preda. Essi seguirono una pista, lungo una spiaggia, diretti verso la loro preda...

La prova potete vederla qui.

Morale della favola: l’apparenza inganna. ;-)

W gli SVPoWer Rangers!

Finalmente è uscito lo studio del SVPoW! Team (Mike Taylor, Darren Naish & Matt Wedel) sulla postura del collo nei sauropodi! Potete leggere la spiegazione direttamente dai nostri eroi sauropodologi e scaricare l’articolo vero e proprio qui.

Questo studio fa quello che molti dimenticano di fare, ovvero, confrontare i dinosauri con gli animali attuali secondo una procedura scientificamente ripetibile e non seguendo vaghe concezioni "soggettive" (chi ha orecchie per intendere intenda). Ovviamente, questa ri-valutazione della postura del collo dei sauropodi* apre interessanti prospettive per analoghi discorsi nei theropodi.

Alla luce di ciò, credo che dovrò rivedere alcune mie ricostruizioni e interpretazioni.

Ancora complimenti al Team di SVPoW!

Per mie passate discussioni sulle posture del collo e della testa dei theropodi, vi rimando a (il collo di Sigilmassasaurus), la postura del cranio theropodi deducibile dall'anatomia dell'orecchio interno, e la postura del cranio di Spinosaurus.


*Dato che qualcuno avrà frainteso lo studio in questione, ne riassumerò le conclusioni: l'ipotesi che sosteneva che il collo dei sauropodi fosse vincolato a mantenersi orizzontale è falsa, in quanto è presumibile che la postura del collo in posizione "neutra" fosse, come in tutti gli altri vertebrati terrestri, parzialmente inclinata verso l'alto. Per i dettagli, ovviamente, vi consiglio di leggere l'articolo.

26 maggio 2009

Miti e Leggende Post-moderne sui Theropodi Mesozoici - Terza Parte: L'ossessione della Caccia di Gruppo, e le sue alternative (molto più) plausibili


Giganotosaurus (photo by M.Auditore)

Non è bizzarra la paleontologia? Risulta molto più facile trovare prove di eventi antichissimi per i quali non sappiamo se siano mai avvenuti, mentre per fenomeni più recenti, dei quali siamo sicuri che accaddero, non si trova mai traccia.
Di cosa parlo?
Il lupo è un mammifero molto ben documentato nei recenti strati fossili del Pleistocene. Sappiamo che i lupi fossili sono praticamente identici a quelli attuali. Inoltre, sappiamo che il lupo, coma altri canidi, è un animale sociale, nonché cacciatore cooperativo. Ebbene, nonostante sappiamo che il lupo è un cacciatore sociale, nonostante i fossili di lupo siano abbondanti (dato che è vissuto in un tempo molto prossimo a oggi), finora non è mai stato scoperto un branco fossile di lupo, né prove fossili della sua socialità!
Qualcuno, a questo punto potrebbe dirmi che non c’è nulla di strano, dato che è molto improbabile che un comportamento complesso come la caccia di gruppo possa preservarsi nei fossili. Eppure, rispondo io, sembra che questo normalissimo buon senso paleontologico scompaia quando si parla di theropodi.
Sebbene, a differenza dei lupi, noi non abbiamo alcuna prova diretta che essi fossero cacciatori sociali, e nonostante essi risalgano a strati molto più antichi di quelli dei lupi (e quindi abbiano una minore possibilità di preservarsi fino al presente), sembra incredibilmente facile scovare un “branco” di theropodi. Almeno così sembra a molti osservatori. Basta trovare un insieme di theropodi della stessa specie fossilizzati nello stesso sito che, immediatamente, qualcuno li interpreta come prove di un branco, e, di conseguenza, ipotizza battute di caccia sociale per i theropodi.
Riflettete sul paragone appena fatto tra lupi e theropodi. Non vi pare strano? Non nasce un sospetto? Perché dovremmo trovare “branchi” di predatori dei quali non abbiamo alcuna prova diretta che fossero cacciatori sociali, mentre non troviamo niente di simile per degli animali per i quali siamo molto sicuri, per non dire certi, che fossero cacciatori sociali?
La risposta, semplicemente, è che le “evidenti” prove di caccia di gruppo nei theropodi non esistono. O, meglio, che le prove esistono solo se credete di vederle.
Esistono prove sicure che i theropodi mesozoici fossero cacciatori sociali? La risposta è “NO!”. Abbiamo prove circostanziali, ovvero, dati che possono costituire un’evidenza solo se partiamo già con l’idea che siano prove. Queste prove circostanziali, però, non sono conferme. Infatti, come ho mostrato nel post sull’ipotesi saprofaga per Tyrannosaurus, non è sufficiente che un’idea sia plausibile per renderla valida: deve risultare la più plausibile nell’insieme delle alternative. Di fatto, l’ipotesi della caccia sociale non è l’interpretazione più plausibile delle evidenze circostanziali in nostro possesso.
Tralasciando i dati circostanziali, abbiamo dati evidenti, privi di ambiguità? Che vi piaccia o meno, essi non esistono.
Ma come, direte voi? Ed il famoso branco di Deinonychus vs. Tenontosaurus? Non è un branco di cacciatori fossilizzato?
Ho già parlato qui del famoso (anzi, famosi, dato che sono due) siti di Deinonychus citati spesso come “prova” della caccia sociale dei theropodi. Chi volesse i dettagli farà bene a rileggerlo. Per gli altri, ecco qui il riassunto (Roach & Brinkman, 2007):
- I due siti non mostrano prove inequivocabili di caccia sociale, ma solo l’associazione di carcasse di Deinonychus e Tenontosaurus, con tracce di predazione in entrambi.
- La tafonomia (il modo con cui sono fossilizzati) dei vari Deinonychus e i Tenontosaurus non è facilmente spiegabile se si seguisse l’ipotesi della caccia sociale.
- Al contrario, le analisi dettagliate suggeriscono che i Deinonychus non collaborassero, ma anzi, competessero tra loro per nutrirsi di carcasse di numerosi Tenontosaurus in fase di disseccamento. La tipologia del sito, l’abbondanza di scheletri di Deinonychus giovani e le condizioni paleo-ambientali, ricordano un banchetto di spazzini in lotta per le risorse, simili ai varani e agli avvoltoi. I theropodi in questione quindi non costituivano un branco coordinato, ma un’aggregazione egoistica di competitori in lotta tra loro.
- Una prova fossile incontrovertibile (un artiglio di Deinonychus conficcato nella coda di un altro Deinonychus) conferma infatti che i theropodi lottarono ferocemente per le risorse alimentari, e che gli esemplari giovanili di Deinonychus non solo furono uccisi, probabilmente da parte degli adulti (dei quali si rinvengono invece solo alcuni denti spezzati), ma persino diventarono un pasto più appetibile rispetto alle carcasse disidratate degli ornithopodi.
Pertanto, la spiegazione più semplice e plausibile dei siti a Deinonychus è che essi siano i resti di lotte feroci tra theropodi solitari che si aggregavano attratti dalle carcasse degli ornithopodi morti.
L’interpretazione brontofagica dell’anatomia Dromaeosauridae, inoltre, consolida l’ipotesi che questi theropodi non avessero bisogno di collaborare per attaccare ed abbattere animali aventi una massa di un ordine di grandezza superiore alla loro (ciò pare suggerito anche dalla famosa coppia dei dinosauri combattenti).
I casi dei dromaeosauridi appena citati sono stati per più di 25 anni le “prove” citate più spesso a sostegno di una cooperazione nella caccia tra i theropodi. Tuttavia, come ho mostrato sopra (rifacendomi a Roach & Brinkman, 2007), esiste una spiegazione più semplice, la quale è anche migliore, dato che interpreta meglio tutti i dati (anche quelli tafonomici dei due siti), e non richiede l'ammissione di un qualche grado di socialità e cooperazione tra i theropodi in questione. Pertanto, la principale prova a sostegno della caccia sociale è smentita, in favore di un'ipotesi più semplice e meglio in accordo con i dati paleontologici e biologici oggi noti.
Questo significa che anche altri siti citati come prove di socialità cooperativa devono essere re-interpretati? Penso di sì. Gli altri casi di presunte “socialità”, in generale, sono basati su bonebed di theropodi tutti della stessa specie (Coelophysis, Allosaurus, Mapusaurus, Albertosaurus), nei quali non è evidente alcuna traccia di altri animali, in particolare eventuali prede. L'ipotesi "sociale" vede questi siti come ecatombi avvenute su un gruppo coordinato di animali sociali. Tuttavia, esistono altre possibili interpretazioni, meno estreme.
Si dimentica che spesso i rettili e gli uccelli sono cannibali, e che molto spesso, sopratutto nei superpredatori (al vertice della catena alimentare), l’unico pericolo di essere predati proviene dai membri della stessa specie. Pertanto, proprio le associazioni composte da soli theropodi della stessa specie possono essere interpretate come evidenze di intensa competizione intraspecifica, che sfociava sovente nel cannibalismo. Anche se a noi il cannibalismo appare come un degradante peccato, un tabù, esso è molto diffuso negli animali, dai “protozoi” fino ai primati (per usare una fittizia e balorda scala della complessità vivente), e doveva, con tutta probabilità, essere diffuso anche nei theropodi. Perché ipotizzare l’esistenza di un indimostrabile sistema sociale quando, per interpretare una bonebed di carnivori, è sufficiente invocare la diffusissima pratica del cannibalismo come regolatrice delle dinamiche dentro le popolazioni di rettili carnivori? Se accettiamo che i Deinonychus si aggregassero e lottassero finendo anche con l'uccidersi e mangiarsi a vicenda, per le carcasse di Tenontosaurus stremati da una siccità, perché non pensare lo stesso per dei Mapusaurus, aggregati per contendersi una carcassa di un membro della stessa specie? Spesso, infatti, la causa di una bonebed è uno stress ambientale, come una siccità molto intensa, lo stesso genere di stress che negli animali attuali intensifica la competizione tra membri della stessa specie, e accresce, nei carnivori, i casi di cannibalismo (accadde, purtroppo, anche durante le guerre umane del passato, quindi non è così assurdo ipotizzarlo negli animali, come alcuni schizzinosi possono credere).
Perciò, pur non negando a priori la possibilità che qualche theropode dal sistema nervoso complesso possa aver evoluto una socialità cooperativa (accade in alcuni uccelli moderni), ritengo che finchè non avremo prove veramente solide di socialità cooperativa sia saggio non ipotizzare strutture sociali così elaborate nei theropodi, sopratutto quando abbiamo già prove zoologiche ed etologiche di comportamente nei rettili e negli uccelli che spiegano bene le associazioni fossili scoperte finora, senza invocare ipotesi sociali aggiuntive.
Eppure qualcuno potrebbe chiedere: “Ma i theropodi come potrebbero abbattere un sauropode adulto, senza collaborare tra loro? Un sauropode è troppo grande per un theropode solo, come lo è un elefante per un leone!” Non esistono solo i leoni, come paragoni... Potrei rispondere subito che l’abbattimento di un sauropode sembra più un’ossessione dei paleo-artisti che dei theropodi...
A parte le battutacce, nessuno si chiede se, con una tale abbondanza di sauropodi giovani e subadulti deducibile dalle covate scoperte in tutto il mondo, apparirebbe alquanto dispendioso perdere tempo dietro ad un grande adulto? In ogni caso, non è detto che un theropode solitario, se opportunamente equipaggiato, non riuscirebbe nell’impresa di uccidere un sauropode. Sapete già il resto della storia... Per una curiosa combinazione di eventi, proprio colui che più di tutti ha sostenuto, spesso senza prove, una caccia di gruppo per i theropodi, Robert Bakker, è anche colui che ha anche risolto l’enigma, proponendo un modello eco-morfologico che permette efficacemente ad un singolo theropode di abbattere un sauropode senza dover ricorrere all’aiuto di altri theropodi.
Ovvero, la “brontofagia".

IN CONCLUSIONE: DATO CHE FINORA NON ESISTONO PROVE EVIDENTI DI CACCIA SOCIALE TRA I THEROPODI MESOZOICI, NON CI SONO MOTIVI VALIDI PER SUPPORRE CHE ESISTESSE TALE COMPORTAMENTO. FINO AL GIORNO IN CUI SARANNO SCOPERTE PROVE EVIDENTI DI CACCIA SOCIALE, QUESTA IPOTESI RESTA NELL'AMBITO DELLA PURA SPECULAZIONE.
Bibliografia:
Roach & Brinkman, 2007 - A Reevaluation of Cooperative Pack Hunting and Gregariousness in Deinonychus antirrhopus and Other Nonavian Theropod Dinosaurs. Bulletin of the Peabody Museum of Natural History 48(1):103-138.

COMING SOON: Miti e Leggende Post-moderne sui Theropodi Mesozoici - La caccia di gruppo nei theropodi!

Prima di leggere questo (prossimo) post della serie sui Miti della paleontologia dei theropodi, vi consiglio di leggere questo post Ultrazionale, che ne è la controparte. (Cliccate sul titolo del post).

24 maggio 2009

Il Tyrannosauro, l’aquila ed il leone (tranquilli, niente “Cronache di Narnia”)


Immagini tratte da qui e qui.

Questo post nasce da una domanda che mi è stata rivolta in forma privata da un lettore di questo blog, che manterrò anonimo (...).

La domanda è interessante, perché solleva una questione probabilmente molto fraintesa. Essa può essere riassunta così:

“Perché bisogna basarsi su gli uccelli per ricostruire il comportamento dei dinosauri? Molti dinosauri non assomigliano agli uccelli attuali, quindi non è detto che avessero un comportamento simile. Anche se è vero che gli uccelli sono i parenti viventi più prossimi di un dinosauro, perché non usare anche un mammifero per interpretarne il comportamento? Se un animale è più simile ad un leone che ad un aquila, perché basarsi sul secondo per capirne il comportamento?”


Potrei rispondere velocemente, almeno all'ultima parte della domanda, ricordando che un Tyrannosaurus è molto (ma davvero molto!) più simile ad un aquila che ad un leone, sia nella morfologia interna ed esterna che nella probabile fisiologia, sviluppo individuale e maccanismo riproduttivo... ma credo che il tema meriti un discorso ben più articolato.

Questa serie di domande collegate contiene una serie ulteriore di domande, quindi cercherò di condensare le risposte.

1- Cos’è il comportamento? Si può ricostruire SCIENTIFICAMENTE il comportamento di un animale estinto?

Il comportamento è un attributo dell’animale vivente, non dei fossili. A parte rarissimi casi, che hanno preservato “istanti” della vita di un animale, il comportamento di un animale estinto NON è più ricostruibile. La grandissima maggioranza dei comportamenti di un animale vivente non è evidente da aspetti in grado di fossilizzare: ad esempio, i rituali di corteggiamento, di cura della prole, di cattura della preda. Guardate leone e tigre, due animali quasi identici nello scheletro: i loro stili di vita sono molto diversi, e non possono essere discriminati dalle sole tracce che lascerebbero come fossili, né dedurre dalle semplici differenze ambientali (a loro volta molto difficili da trovare nei fossili).

Quello che molti chiamano “comportamento” è in realtà la sua presunta ecologia. Sono ambiti differenti. L’ecologia di un fossile è più facilmente ricostruibile, perché può essere dedotta dalle condizioni di fossilizzazione e dalla morfologia dell’animale.

Il modo più robusto per dedurre un comportamento è valutarlo a partire da parenti prossimi che abbiano una ecologia simile. Peccato che, per molti dinosauri (in particolare i non-theropodi) oggi non esista nessun animale che abbia morfologie ed ecologie simili a loro che possa servire da buon punto di riferimento.

Spiacente, ma questa è la realtà dei fatti.


2- “Perché bisogna basarsi su gli uccelli per ricostruire il comportamento dei dinosauri?”

La domanda, posta così, è molto pericolosa.

Temo che molti, presi dall’euforia di aver scoperto che gli uccelli sono dinosauri, abbiano la tendenza a ricondurre tutti i tratti evidenti negli uccelli come esempi per ricostruire i dinosauri fossili. Ciò è scorretto, così come è la tendenza opposta (ovvero, il negare minimamente un riferimento agli uccelli).

Chi ha letto i miei vari post, avrà notato che utilizzo solamente un tipo particolare di uccelli nei paragoni con i theropodi: gli uccelli di taglia medio-grande che vivono prettamente a terra e volano poco o per niente (struzzi, casuari, galliformi). Usare un’aquila o uno svasso per capire un Ceratosaurus sarebbe stupido come usare una pipistrello o un gibbone per capire Dimetrodon. Oltre a rappresentare la morfologia basale degli uccelli attuali, queste forme appena citate sono anche quelle con l’ecologia più simile a quella dei theropodi mesozoici: hanno masse paragonabili (uno struzzo pesa “solo” 40 volte meno di un Tyrannosaurus, ma ben 10000 volte più di un colibrì, quindi è più vicino ecologicamente al primo che al secondo come “taglia”) e anatomie molto simili. Non userò mai uccelli neognati di taglia medio-piccola, prettamente volatori e altamente modificati, per interpretare un theropode basale, mentre trovo utile e significativo (con le dovute cautele) usare un Casuario per capire Velociraptor.

Usate sempre il buon senso!

Tornando alla domanda: dobbiamo basarci sugli uccelli (di grande mole e poco/niente volatori) perché essi sono gli animali attuali più simili ai dinosauri (almeno theropodi) come eco-morfologia, sviluppo ontogenetico, fisiologia e, pertanto, molto probabilmente, anche etologia. Non a caso, la struttura del cervello dei dinosauri, ricostruita dai calchi endocranici, è morfologicamente intermedia tra quella di coccodrilli e uccelli (nei maniraptoriformi è molto simile a quella dei grandi uccelli, mentre negli altri dinosauri è intermedia tra coccodrilli e maniraptoriformi), e non ricorda affatto quella dei mammiferi. Ciò è un forte indizio a cercare in coccodrilli e uccelli le basi del comportamento dei dinosauri.

Come ho detto prima, però, ciò sempre con le dovute cautele e buon senso naturalistico.

3- “Anche se è vero che gli uccelli sono i parenti viventi più prossimi di un dinosauro, perché non usare anche un mammifero per interpretarne il comportamento?”

(Questa domanda mi fa nascere automaticamente un’altra domanda: E perché mai dovremmo usare proprio un mammifero? Perché non usare una tartaruga, un varano, o un coccodrillo?).

Brachiosaurus non è una gallina, ma, ad un attento esame, non è nemmeno un elefante!

Non ci sono particolari obiezioni a usare un mammifero, a patto che ciò sia giustificabile, ovvero, basato sulla consapevolezza che il dinosauro in questione ed il mammifero usato siano simili in termini di ecologia e morfologia funzionale. Ad esempio, molti usano gli elefanti come analoghi etologici per i sauropodi: ciò è un atteggiamento giustificato? Ad una prima osservazione, uno penserebbe di sì. Tuttavia, a ben vedere, le differenze sono molto più grandi delle somiglianze, e in aspetti che incidono molto sul comportamento di un animale. Ricordate, come ho detto all’inizio, che non dovete confondere l’etologia con l’ecologia! Un elefante ha un’ecologia vagamente simile a quella di un sauropode, in quanto entrambi sono vertebrati terrestri di grande massa e consumatori primari (“erbivori”). Tuttavia, queste caratteristiche, da sole, non ci dicono nulla sul comportamento. Anche una tartaruga delle Galapagos è un vertebrato terrestre di grande massa e consumatore primaro! Ad esempio, il sistema riproduttivo e le cure parentali, che incidono tantissimo sul comportamento dei mammiferi e plasmano la socialità degli elefanti, sono diversissimi. Gli elefanti producono un solo figlio a decennio, al quale viene dedicata l’intensissima cura parentale della madre. I sauropodi producevano decine di uova all’anno per ogni femmina riproduttiva, nei confronti delle quali, probabilmente, non praticavano particolari cure parentali dopo la schiusa (la differenza di massa tra adulto e giovane schiuso è talmente abissale, pari a 1: 5000, che è praticamente impossibile che un adulto riuscisse a interagire direttamente coi giovani senza ucciderli). Ciò è evidenziato dai tassi di mortalità che deduciamo per i sauropodi giovani, elevatissimi se paragonati a quelli di un giovane elefante. Inoltre, a rimarcare le differenza nel comportamento alimentare, gli elefanti hanno complessi apparati masticatori, mentre i sauropodi non masticavano e si affidavano al ventriglio ed ai gastroliti per triturare il cibo (come fanno, guardacaso, gli uccelli erbivori). Tutti questi aspetti alimentari e riproduttivi incidono tantissimo sul comportamento animale, e non possono essere ignorati se si vuole davvero capire l'etologia dei sauropodi.


In realtà, quando uno cerca analogie tra dinosauri e mammiferi, quasi sempre si rivolge ai theropodi e ad un solo aspetto, la predazione. Anche qui, come ho mostrato più volte, è molto azzardato e pretestuoso pensare di dedurre qualcosa di utile dai mammiferi, a patto, inoltre, di non eccedere troppo nelle analogie. Ad esempio, nel precedente post su Tyrannosaurus, ho citato la differenza tra metodi di caccia tra felidi e canidi per mostrare che l’assenza di un arto anteriore funzionante non è una prova di incapacità predatorie: i canidi non usano (quasi mai) l’arto anteriore per cacciare (a differenza dei felidi), e tuttavia sono efficienti predatori. Ma l’analogia finisce qui! Un Tyrannosauridae non è un lupo, né un leone, e non ha senso cercare quale indizio etologico solamente perché si presume che tutti e tre siano al vertice delle rispettive piramidi ecologiche.

NOTA BENE: Le fantomatiche "nicchie ecologiche" sono dei miti superati, qualcosa spesso MOLTO difficile da definire in maniera scientifica. Qual'è la nicchia ecologica del giaguaro? E quella del varano? Quella del pangolino? Quella del passero domestico? Quella del babbuino? Anche ammesso che rispondiate a queste domande, e non vi accorgiate che la risposta coincide con la descrizione MINUZIOSA della biologia completa dell'animale in questione, non avrete ancora nulla per dedurre quelle di un animale estinto.

Inoltre, anche ammettendo che uno voglia proporre un analogia tra un mammifero ed un dinosauro, come fa a sostenerla? Quali prove porta a suo favore? Tutto quello che possiamo dire, seriamente, è che un animale bipede oviparo di 3-6 tonnellate molto probabilmente NON doveva comportarsi come un mammifero quadrupede placentale di 200 kg. Curiosamente, un varano di Komodo è quadrupede e pesa 200 kg, quindi, da questo punto di vista eco-morfologico, è molto più simile al leone rispetto ad un Tyrannosauro!

In conclusione, ritengo che l’etologia dei dinosauri sia un ambito molto rischioso da affrontare, per la semplice ragione che le prove sono scarsissime e spesso ambigue. Molti confondono l’ecologia con l’etologia, e credono che la conoscenza della prima ci dia informazioni automatiche sulla seconda (atteggiamento che qualsiasi eco-etologo vi smentirà categoricamente), e quindi commettono un errore di interpretazione. Gli animali moderni che meglio ci possono aiutare per capire l’etologia dei dinosauri mesozoici sono gli uccelli non-volatori di grande taglia, i coccodrilli e, in parte i varani, per via delle profonde affinità morfologiche, fisiologiche e riproduttive che li legano ai dinosauri, molto più dei mammiferi. Non è un caso che la maggioranza delle analogie proposte tra dinosauri e mammiferi tandano ad essere banali e molto superficiali, spesso focalizzate su aspetti particolari, come artigli o denti, o forme generali del cranio o degli arti, i quali, presi singolarmente, non ci danno grandi indicazioni etologiche, ma solamente indicazioni ecologiche (ad esempio, uno stesso tipo di artiglio può essere usato in modi diversi in animali diversi).

Badate che non dico ciò per “fanatismo filogenetico”, ma a ragion veduta, dopo un’attenta valutazione di tutti i fattori in gioco (ecologici, morfologici, fisiologici e persino ambientali), in un ottica pienamente paleobiologica.

Temo che molti pretendano di cercare analogie tra dinosauri e mammiferi perché, inconsciamente, sono ancora legati al paradigma Bakkeriano, che, fortunatamente, è stato ridimensionato negli ultimi 15 anni. Bakker è stato il massimo sostenitore di un'idea, rivelatasi, all’esame minuzioso dei dati, eccessivamente speculativa. Egli, per contrastare la vecchia concezione dei dinosauri (che era eccessivamente “pessimista” sull’etologia ed ecologia dei rettili) dovette “crearne” una nuova, altrettanto estrema, quella che vedeva i dinosauri come dei “mammiferi con le squame”.

In realtà, il modello biologico (bauplan) mammaliano si basa su caratteristiche fisiologiche, alimentari e riproduttive molto particolari (endotermia differente da quella aviaria, iper-specializzazione dell’apparato masticatore e evoluzione della viviparità placentale), ed è troppo lontano dal modello anatomico (bauplan) degli arcosauri per poter essere un adeguato riferimento etologico per i nostri amati eroi mesozoici.

Negli ultimi anni abbiamo dimostrato la grande affinità morfologica tra uccelli e dinosauri, ma abbiamo anche rivalutato positivamente gli altri rettili attuali: perché rinnegare queste scoperte? perché non sfruttarle appieno per capire i dinosauri, senza abusare dei mammiferi?


Pertanto, la mia risposta alla domanda iniziale è: nelle interpretazioni etologiche è bene usare gli uccelli (perché sono pur sempre gli animali più simili ai dinosauri nella totalità della biologia) ma con ragion veduta (ovvero, non riferitevi a tutti gli uccelli, ma solo a quelli eco-morfologicamente più simili ai dinosauri non-aviani), e citate con estrema cautela i mammiferi (e tutti gli altri tetrapodi, uccelli compresi), solamente nelle condizioni in cui avete motivi eco-morfologici validi per citarli.

Evitate le analogie sempliciotte o le banali affinità ecologiche, ma sforzatevi di conoscere il più possibile la totalità dell’animale (ovvero, la morfologia, l’ecologia, la fisiologia e la filogenesi) prima di azzardare un’ipotesi etologica.

23 maggio 2009

Enantiophoenix su Wikipedia - Atto II

Continua la proliferazione delle pagine di Wikipedia dedicate a Enantiophoenix! Dopo la versione italiana, ho scoperto che esiste anche la versione polacca. Grazie ancora ai wikipedisti di tutte le nazionalità! Quale sarà la prossima versione?


PS: a breve, avrete motivi per creare altre nuove pagine ;-)

22 maggio 2009

L’Eco-morfologia di Tyrannosaurus e l’ipotesi dello Spazzino Obbligatorio

I lettori fissi di questo blog conoscono la mia “etica”: a parte brevi pause “leggere”, o personali (sempre legate ai theropodi), in questo blog si discute solo di ciò che è testabile scientificamente. Le opinioni prive di argomentazioni, le affermazioni non supportabili da evidenze oggettive, i “Secondo me, sì. Punto.” contrapposti ai “Secondo me, no. Punto.” li lascio volentieri ad altri contenitori presenti abbondantemente in rete.

Uno dei “secondo me” maggiormente diffusi in rete riguarda la più nota e citata ipotesi ecologica su un theropode mesozoico, che, guarda caso, è anche IL theropode più citato e conosciuto dai non addetti ai lavori. Chi di voi non si è chiesto almeno una volta se Tyrannosaurus rex era o no uno “spazzino”? E quanti di voi hanno analizzato la questione in maniera scientifica, ovvero, testandola in maniera oggettiva, e non limitandosi a pure opinioni “estetiche”, inutili argomentazioni retoriche o banalità pseudo-naturalistiche?

Se cercate con Google “Tyrannosaurus spazzino” vedrete numerose discussioni pro o contro questa visione, in maggioranza fondate su mere opinioni, prive di argomentazioni scientifiche. Non trovate mai citazioni a studi su questa tesi. Ciò fa nascere il sospetto che buona parte di queste discussioni nasca e muoia all’interno della rete, senza alcun minimo contatto con eventuali ricerche svolte in quel tema. Inoltre noto, con disappunto, che spesso queste discussioni degenerano in invettive gratuite contro Horner, il più noto sostenitore della saprofagia obbligatoria per Tyrannosaurus: la discussione si sposta dalla paleontologia ad altri ambiti, come la psicologia, invocando presunte motivazioni “extrascientifiche” per l’idea horneriana. Queste accuse contro il paleontologo americano mi ricordano, purtroppo, il fanatismo religioso di chi non sopporta minimamente alcuna forma di “eresia”, e deve cercare una motivazione “malvagia”, “egoistica” o “personalistica” per queste “blasfemie”. L’ipotesi di Horner è scientificamente testabile, quindi meritevole di essere discussa. Inoltre, non capisco l’accanimento personale verso Horner per questioni così accademiche: Tyrannosaurus non è mica la Costituzione (o Gesù Cristo, a seconda di cosa riteniate sacro)! Ho avuto il piacere di incontrare Horner personalmente: è un oratore molto brillante e piacevole, che merita stima, indipendentemente dal fatto che si concordi o meno con le sue ipotesi iconoclaste.

Tornando al tema del post, le argomentazioni di Horner (ed altri che hanno collaborato con lui) sono state recentemente discusse in maniera dettagliata da Holtz (2008). Quello studio è l’analisi più aggiornata e completa dei pro- e contro l’ipotesi del Tyrannosauro Saprofago Obbligatorio (TSO).

Holtz (2008) nota che l’ipotesi di Horner è molto più specifica della semplice affermazione che Tyrannosaurus fosse saprofago, dato che la saprofagia è presente attualmente in tutti i vertebrati terrestri carnivori (anche noi siamo saprofagi, come dimostra l’industria degli insaccati e la tecnologia frigorifera). Come sempre, in Natura non esistono le nostre facili categorie dicotomiche, bensì un continuum di condizioni: ciò che varia tra i carnivori è il grado di saprofagia (inteso come percentuale di cibo acquisito sotto forma di carcasse non uccise dallo stesso predatore). Lo stesso leone, blasonato cacciatore, acquisisce il 10% del proprio cibo sotto forma di saprofagia. L’ipotesi di Horner è perciò molto più specifica: egli afferma (Horner, 1994) che la morfologia di Tyrannosaurus è interpretabile come evidenza di un regime alimentare esclusivamente saprofago.

L’ipotesi di Horner è prettamente eco-morfologica: ovvero, deduce l'ecologia dalla morfologia. Tale approccio è un caposaldo della paleontologia, dato che altre evidenze (non morfologiche) per dedurre il grado di saprofagia sono praticamente impossibili da determinare in un fossile (l'ideale sarebbe l'osservazione etologica, diretta, sul campo, ma ciò, ovviamente, è impossibile per animali estinti). Infatti, una carcassa fossile con segni di attività predatoria non dà (a parte casi limite mai documentati finora) indicazioni per distinguere se fu uccisa direttamente dal carnivoro autore dei segni o se quest’ultimo fu un opportunista saprofago.

Le argomentazioni morfologiche proposte da Horner (1994) sono 4, ed Holtz (2008) le analizza nel dettaglio.

1- Tyrannosaurus avrebbe orbite relativamente ridotte rispetto agli altri theropodi: ciò implicherebbe una ridotta capacità visiva, e, di conseguenza, una ridotta capacità predatoria.

Holtz (2008) ha misurato la dimensione dell’orbita nei crani dei theropodi e l’ha confrontata con la dimensione del cranio, per determinare se e quanto i tyrannosauri si discostino dagli altri theropodi.

L’analisi mostra che, in generale, la dimensione dell’orbita tende a ridursi in relazione all’aumento della dimensione corporea, e che tale riduzione relativa in Tyrannosurus è puramente un effetto legato alle sue enormi dimensioni, e non si discosta dal trend generale dei theropodi (Grafico A). Pertanto, Tyrannosaurus non ha orbite relativamente ridotte rispetto agli altri theropodi, anzi, in dimensione assoluta, ha probabilmente gli occhi più grandi tra i theropodi (ne ho discusso anche qui).

2- Tyrannosaurus ha la tibia più corta del femore, e, di conseguenza, non sarebbe un animale capace di correre, né di inseguire potenziali prede.

Holtz (2008) osserva che il semplice rapporto tibia/femore non è indicativo di capacità cursorie: nei cavalli il rapporto tibia/femore è prossimo a 1, nonostante ciò, nessuno nega le loro capacità cursorie. Inoltre, esattamente come nel caso dell’orbita, la dimensione relativa dell’arto posteriore diminuisce con l’aumento della taglia corporea, per via di vincoli allometrici indipendenti dall’ecologia. Va ricordato che i dati morfometrici dimostrano che non solo Tyrannosaurus aveva un arto posteriore relativamente più lungo rispetto a tutti gli altri theropodi predatori di taglia medio-grande, ma era anche maggiormente adatto, per la presenza dell’arctometatarso, a sopportare intense sollecitazioni locomotorie. Ciò non implica necessariamente elevate velocità, ma, sicuramente, smentisce l’idea che Tyrannosaurus fosse meno adatto a inseguire le prede rispetto agli altri theropodi. Inoltre, ed è l’aspetto più importante, nessun dinosauro erbivoro contemporaneo di Tyrannosaurus ha arti posteriori più allungati dei suoi (Grafico B): anche ammettendo che Tyrannosaurus fosse relativamente lento, gli stessi dati a sostegno di tale ipotesi mostrano che le sue prede sarebbero state ancora più lente di lui, e quindi, non impossibili da raggiungere.

3- Tyrannosaurus avrebbe arti anteriori troppo corti e ridotti per essere utili alla predazione.

Questa ipotesi di Horner assume che l’arto anteriore funzionante e ben sviluppato sia un prerequisito per la caccia attiva. A questo proposito, Horner cita i felini, che utilizzano mandibola e arti anteriori nella cattura e stabilizzazione delle prede nell’atto dell’uccisione. Tuttavia, nota Holtz (2008), anche solo citando vertebrati attuali, esistono predatori che non utilizzano minimamente l’arto anteriore per la cattura e l’uccisione della preda, ad esempio i canidi e gli ienidi. Ciò dimostra che l’arto anteriore sviluppato non è condizione necessaria alla predazione, e, quindi, che la riduzione dell’arto anteriore, tipica dei tyrannosauridi, non implica necessariamente una riduzione delle capacità predatorie.

4- I denti di Tyrannosaurus sarebbero specializzati per spezzare le ossa, non per lacerare le carni: ciò sarebbe evidenza di un adattamento saprofago più che di un regime predatorio.

I tyrannosauridi sono caratterizzati da denti a sezione trasversale più ampia rispetto agli altri theropodi. Tale morfologia, detta “incrassata” è meno adatta di quella “standard” dei theropodi per lacerare le carni. Inoltre, le radici dei denti tyrannosauridi sono molto più profonde che negli altri taxa. Holtz (2008) sottolinea che questi caratteri non implicano una specializzazione alla pura saprofagia, come invece sostiene Horner (1994), che vede i denti incrassati come adattamenti a resistere all’impatto con le ossa, requisito, in questa interpretazione, più consono ad un opportunista pulitore di carcasse che ad un predatore. L’aumento nello spessore trasversale dei denti può infatti essere visto come un adattamento per resistere a intense sollecitazioni meccaniche (Grafico C), quali la torsione laterale derivante dallo scuotimento intenso della testa in animali adattati a strappare con le mandibole ampie porzioni di tessuto muscolare. Un carattere anatomico a sostegno di questa ipotesi è lo sviluppo di un ampio palato osseo secondario, un carattere che aumenta la resistenza del cranio alle torsioni laterali. Holtz nota che questa combinazione di caratteri (denti espansi trasversalmente e non compressi, profonde radici dentarie, ampio palato secondario) si osserva anche negli spinosauridi, per i quali è stato ipotizzato un adattamento a intense sollecitazioni craniche trasversali.

In conclusione, Holtz (2008) dimostra che l’insieme dei caratteri morfologici citati da Horner (1994) come evidenza di un regime esclusivamente saprofago per Tyrannosaurus non sono prove inconfutabili di tale ipotesi. I primi due (dimensioni dell’orbita e riduzione della lunghezza dell’arto posteriore) sono stati smentiti da un’analisi quantitativa e comparativa dei dati, mentre gli altri due caratteri non sono legati in maniera univoca alla saprofagia obbligatoria.

La TSO è quindi smentita, e deve probabilmente essere accantonata, in favore di una visione più tradizionale di Tyrannosaurus, inteso come predatore ed opportunista di tutte le risorse alimentari del suo ecosistema (sia prede vive che carcasse).


Ringrazio Thomas R. Holtz Jr. per avermi inviato una copia del suo articolo.


Bibliografia:

Holtz T.R. Jr., 2008 - A critical re-appraisal of the obligate scavenging hypothesis for Tyrannosaurus rex and other tyrant dinosaurs. Pp. 370-396, in P. Larson and K. Carpenter (eds.), Tyrannosaurus rex: The Tyrant King. Indiana University Press.

Horner J.R., 1994 - Steak knives, beady eyes, and tiny little arms (a portrait of T. rex as a scavenger). P. 157-164 in Rosemberg G. & Wolberg D. (eds.). Dino Fest Proceedings. Paleontologica Society Special Publication 7.